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Quante volte da piccoli ci è stato detto di chiudere la bocca?

Al giorno d’oggi, almeno in Italia, si assumono posture e linguaggi corporei che vogliono trasmettere l’idea di una personalità forte, la classifica idea del “duro” (e ciò vale anche per il gentil sesso).
Contraiamo costantemente i nostri muscoli, in una sempre presente posizione di difesa, come se dovessimo ricevere un colpo da un momento all’altro in un incontro di boxe. La vita può essere dura, sì.
Perché noi la rendiamo tale!

Così facendo, sottoponiamo il nostro corpo e la nostra mente ad un incredibile stress, creando un non necessario circolo vizioso. Il corpo contrae la mente, la mente irrigidita contrae il corpo ancor di più.
E così, ecco che compaiono i primi dolori, per non parlare dei numerosi blocchi energetici che a lungo andare portano a malattie anche serie.

Una zona importante in cui gli stress vengono quotidianamente raccolti è la mandibola. Il viso è infatti una parte di noi che è sempre esposta, e pare non poter mai abbassare la guardia.

Ma non ovunque è così.

Alcuni anni fa, in India, non potei fare a meno di notare come le persone rimanessero abitualmente con una fessura sulla bocca. In Asia, si sa, la gente è in genere più rilassata, ed il benessere psicofisico è parte integrante della cultura. Nel sudest asiatico ci si trova in ogni parco o piazza per lezioni di aerobica al tramonto, è molto comune vedere persone massaggiarsi a vicenda alla stazione o all’angolo della strada, e i corpi delle persone hanno una flessibilità media superiore del 30% rispetto a quelli occidentali.

Ed è proprio nel Sud est asiatico che, alcuni anni fa, proprio il fatto di rilassare la mandibola è stato per me il tema ricorrente per un lunghissimo periodo.
Mi trovavo nel salone di un paese poco al di fuori da Chiang Mai, nell’abitazione di Pichest Boonthumme, uno dei master più rilevanti nel massaggio thailandese.

Gli studenti giorno dopo giorno vi si recavano per trascorrere lunghissime giornate nel caldo pre-monsonico, che se non si esperisce non si può immaginare, a respirare e auto-massaggiarsi, tra un consiglio del maestro e l’altro, con il silenzioso sottofondo dei ventilatori e dei tok sen (tipico massaggio con martello e scalpello).

In quel contesto surreale, in un’atmosfera permeante, il focus principale era forse ridonare una funzionalità rilassata e organica a corpi abituati dalla cultura a tendersi, dimentichi della loro originaria sapiente semplicità.
Innumerevoli volte, nel ricevere un trattamento, ciò che mi si ripeteva era “open your mouth“, “relax your jaws”.
Let it go.

Perché alla fine, se smettiamo di contrastare ciò che è, tutto fluisce organicamente, e anche il corpo ne rispecchia il beneficio con leggerezza e mobilità.

Non serve a nulla trattenere il respiro, ciò che arriva poi se ne va e non bisogna impedirlo. Ed è sicuro mostrarsi vulnerabili.
Come avrebbe detto Pichest, “inspire, expire”.
Non tratteniamo tensione, osserviamo con amore e senza giudizio e i blocchi inizieranno automaticamente a svanire, se solo accettiamo

Kop khun ka (grazie)

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